Elio Manili: L’ultimo principe di Sicilia

Nuova intervista, si torna a scoprire la nostra terra, in particolare quella culla di scienza e valori che è la Sicilia. Ce la racconta Elio Manili, parlandoci del suo ultimo romanzo, L’ultimo principe di Sicilia.

Chi è Elio?

Un uomo che oltrepassata la cinquantina, non ha ancora smarrito la capacità e la voglia di potere sognare. Sono nato a Palermo, città dove lavoro e ho sempre vissuto. Amo la scrittura, l’arte, la cultura e la storia. Mi sento molto legato alla mia terra e onorato di aver avuto i natali in una terra millenaria culla di civiltà, crogiolo di storia, arte e tradizioni.

Ci dai qualche dettaglio in più sulla trama de L’ultimo principe di Sicilia?

Ercole Branciforte, ultimo discendente della più prestigioso casato nobiliare di Sicilia, trascorre la propria esistenza in una città che ha ormai perso la sua funzione di città guida del regno, non essendo più la sede della famiglia reale. Infatti, il trasferimento della capitale a Napoli, con la dominazione angioina, ha di fatto spostato, a quest’ultima, l’asse del potere politico. A peggiorare le cose, accanto al secolare dualismo, fra le due maggiori città del regno, i ministri dei Borbone hanno assunto un atteggiamento dispotico che tende a limitare o assorbire le stesse secolari attribuzioni e prerogative del regno di Sicilia. Esse risalivano alla venuta del re normanno  Ruggero II che, in cambio dell’aiuto ottenuto dai baroni siciliani per la cacciata degli arabi dell’isola, aveva distribuito feudi, riconoscendo la loro rappresentanza, al parlamento siciliano, un importante organo politico e consultivo, dove venivano trattati i temi più importanti relativi alla vita dello stesso regno.

Il 1773, anno della rivolta delle maestranze palermitane e della successiva cacciata del vicerè Fogliani, rappresenta uno dei momenti più delicati dei rapporti fra la nobiltà siciliana e il re di Napoli. Il principe Ercole Branciforte si assunse la piena responsabilità di non fare precipitare la  Sicilia in uno stato di totale anarchia. L’unico riconoscimento ottenuto sarebbe stata la nomina a gentiluomo di camera. Intanto, l’occupazione francese di Napoli, costringeva, nel 1798 e nel 1806, la famiglia reale e relativa corte a trasferirsi a Palermo. Tali accadimenti accendevano nuove speranze, circa la scelta di Palermo come sede reale. Circostanza che veniva smentita dalla ripartenza di re Ferdinando. Il colpo decisivo all’autonomia del regno veniva dato dall’approvazione della nuova carta costituzionale del 1812, fortemente voluta dagli inglesi, che sanciva la fine del feudalesimo e degli antichi privilegi dell’aristocrazia siciliana.

Descrivi il libro con tre aggettivi.

Avvincente, formativo, esilarante.

Una scena del libro che ti piace particolarmente?

La notizia trapelata dal palazzo reale della nomina di Domenico Caracciolo a viceré di Sicilia. Ercole Branciforte si chiedeva la vera portata di tale provvedimento. La sua avveduta perspicacia anticipava scenari non proprio idilliaci. L’arrivo di quell’uomo, notoriamente infervorato dalle idee illuministe e fanatico dell’emancipazione del popolo e della classe borghese, non prometteva nulla di buono. Sicuramente la corte di Napoli, alla luce di quanto precedentemente accaduto, intendeva ripristinare il pieno controllo dell’isola, soffocando sul nascere qualsiasi ulteriore velleità autonomistica.

Il principe di Butera, quale primo titolo del regno e capo del braccio baronale, era certo che presto si sarebbe dovuto scontrare con tale regia volontà.

Le sue premonizioni avrebbero trovato conferma nei provvedimenti, attuati dal nuovo vicerè, tesi ad annullare le secolari prerogative dei nobili siciliani e delle stesse tradizioni popolari e religiose.

Presentaci Ercole Branciforte.

Ercole Michele Branciforti e Pignatelli (1750-1814), grande di Spagna di prima classe, primo titolo del Regno di Sicilia, capo del braccio baronale, cavaliere del sacro ordine militare di San Giovanni in Gerusalemme, Principe di Butera, Pietraperzia, Leonforte, Niscemi, Scordia, Duca di Santa Lucia, marchese di Barrafranca, Licodia, Militello, Conte di Mazzarino, Raccuja, Grammichele e Grassuliato. Aveva riconosciuto il privilegio di sedere alla destra del vicerè e di accompagnarlo al duomo di Palermo per fargli prestare giuramento. L

a sua vita si svolse nella città partenopea, al servizio della famiglia reale, espletando il compito di gentiluomo di camera, e a Palermo, fra tumulti e palloni aerostatici, che ebbe il piacere di levare al cielo sull’esempio dei fratelli Montgolfier. Era l’ultimo discendente della nobile e gloriosa casata dei Branciforte, la cui discendenza si ramificò in terra di Sicilia. Si trattava di gente di alto lignaggio: principi, principesse e condottieri tutti in possesso di vastissimi feudi in ogni parte della Sicilia.

Ercole Branciforte, può considerarsi l’emblema vivente della nostra terra. Chi ebbe modo di conoscerlo, lo definì: uomo di cuore, di tempra, d’azione, vulcanico, istrionico, irriverente, amico e protettore degli ultimi. Al di là di tutte le sue grandi qualità risultò essere ben voluto da tutti. Dalla famiglia reale, dalla stessa nobiltà, dalle maestranze e dal popolo che trovava in lui sempre un affidabile referente. Amava gli studi, il progresso e le nuove scoperte scientifiche. Venuto a conoscenza del lancio del pallone aerostatico, studiando da autodidatta, riuscì nell’impresa di far volare, dal terrazzo del suo palazzo, due palloni aerostatici, sotto gli occhi sbigottiti dei palermitani e dello stesso vicerè Domenico Caracciolo, che pur essendoglii alquanto ostile, altro non potè che congratularsi con lui.

Continuando a fare la spola da Palermo a Napoli per un voto fatto ai padri certosini concepì la bizzarra idea di costruire, a Bagheria, un padiglione in stile neoclassico : la Certosa. Ogni qualvolta si riuniva il parlamento siciliano, del quale rivestiva l’incarico di capo del braccio baronale, era solito raggiungere il palazzo reale, con grande pompa e magnificenza a bordo di una carrozza d’oro, adornata di figure femminili, angeli e puttini. Veniva l’anno 1812, quando re Ferdinando era costretto a rinunciare ai suoi poteri, ritirandosi alla Ficuzza. Come reggente del regno veniva nominato il figlio Francesco. Era il 9 giugno del 1814, quando l’ultimo principe di Sicilia, rendeva l’anima a Dio procurando l’estinzione dell’illustre casato dei Branciforte.

Perché (e a chi) consiglieresti L’ultimo principe di Sicilia?

Bisogna spezzare una lancia a favore dell’identità e dell’orgoglio del popolo siciliano. Ancora oggi, come nel passato, si ha una concezione preconcetta della nostra terra e di noi siciliani. Certi luoghi comuni e stereotipi sono lungi a scomparire. Restando nell’epoca del principe di Butera, la Sicilia era considerata dagli illuministi una terra inospitale e infuocata, selvaggia e impraticabile, in completa balia dei briganti che imperversavano impuniti.

Ma la Sicilia non fu e non è solo questo.

E’ sempre stata vista come terra di conquista e di sfruttamento, ma chi conosce bene la sua storia sa bene che è sempre stato un crogiolo di diverse culture che sono riuscite a coesistere lasciando, ciascuna delle quali, tracce e opere di incomparabile bellezza. Il concetto è ben sintetizzato in una frase detta dallo stesso principe : « La mia Si­ci­lia è for­ma­ta da tan­te Si­ci­lie che si con­fon­do­no l’u­na con l’al­tra, spes­so in pie­na con­trad­di­zio­ne. Per­fi­no i pae­sag­gi si tra­sfor­ma­no da un luo­go al­l’al­tro in un gio­co di stri­den­ti con­tra­sti. È fuo­ri di dub­bio che luci e om­bre av­vi­lup­pa­no la mia ter­ra, fa­cen­do­ne una meta uni­ca e sin­go­la­re».

Cosa ti ha spinto ad ambientare il libro in questo particolare periodo storico?

L’importanza dell’argomento trattato, può definirsi la preziosa testimonianza di un periodo alquanto travagliato della storia di Sicilia, ricco di profonde e destabilizzanti trasformazioni politiche e sociali, dove le ataviche pretese baronali finivano per essere rimesse in gioco. Il principe Ercole Branciforte si trovava a dover fronteggiare Domenico Caracciolo, nuovo viceré di Sicilia, imbevuto di idee illuministe che intendeva porre fine ai secolari privilegi della classe nobiliare siciliana. Si innescava una lotta senza esclusione di colpi destinata a proseguire fino alla Costituzione Siciliana del 1812 che avrebbe sancito la definitiva abolizione del feudalesimo.

Cosa non sappiamo della Sicilia di quel periodo?

Il nuovo vicerè Francesco d’Aquino, principe di Caramanico, proseguì la politica attuata dal suo predecessore tendente alla lotta contro i privilegi dell’aristocrazia isolana. Di idee palesemente giacobine, ammiratore degli ideali che avevano ispirato la rivoluzione francese, intendeva liberarare la Sicilia dal dispotismo feudale per farne una repubblica. Per potere ripartire più equamente il peso fiscale sul regno di Sicilia, era sua intenzione provvedere alla numerazione delle anime e il censimento di tutti i beni appartenenti ai nobili. Sull’onda delle notizie provenienti dalla Francia, dove il popolo aveva preso d’assalto le carceri della Bastiglia, progettò la sollevazione dalla corona, trovando nel giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi, il materiale esecutore. Scoperto, poco prima dello scoppio del tumulto, avrebbe pagato tale tentativo con la decapitazione. I ben informati sostenevano che il vicerè avesse fornito mappe per consentire lo sbarco dei francesi in Sicilia. Lo stesso vicerè sarebbe stato avvelenato. Venendo meno i due principali protagonisti qualsiasi velleità repubblicana poteva ritenersi conclusa.

Raccontaci un po’ del tuo rapporto con il romanzo storico, sia come lettore che come autore.

Fin dalla scuola elementare ho sempre provato una profonda ammirazione per tutti quei condottieri che con le loro gesta hanno determinato gli umani destini, interpretandone sogni e speranze, desideri di conquista. Con il passare del tempo tale passione si è fatta sempre più costante da indurmi a studiarla in modo sempre più approfondito. Ho avuto il piacere di leggere moltissimi romanzi storici di grandi autori quali Dumas, Valerio Massimo Manfredi e Ken Follett. Dapprima come lettore, poi a partire dal 2015 come autore.

Quali sono le difficoltà nello scrivere un romanzo storico?

La componente storica, che fa da sfondo ai miei romanzi, è curata con particolare attenzione ai dettagli. Utilizzo diversi mesi, come lavoro preparatorio, prima della stesura del romanzo. La difficoltà maggiore che implica riguarda il reperimento delle fonti storiche più attendibili ed approfondite. Per la scrittura di questo romanzo, mi sono avvalso dei Diari del marchese di Villabianca, attento e scrupoloso osservatore dei fatti storici della Palermo settecentesca. Esse sono state integrate con altri testi riguardanti quel periodo storico, indispensabili per creare il necessario background per la realizzazione dell’opera.

Puoi dare qualche consiglio a chi vorrebbe cimentarsi in questo genere letterario?

Posso consigliare di attenersi ad alcune regole fondamentali. Chi si cimenta in questo genere letterario non può prescindere di attuare una perfetta fusione fra la finzione narrativa e la realtà. Uso di fonti storiche veriterie e attendibili, continuo lavoro di ricerca e confronto delle stesse. Particolare attenzione alle reazioni psicologiche dei personaggi e alle abitudini del tempo, al modo di vivere. In ultima analisi, il lettore deve sentirsi proiettato nell’epoca in questione senza alcun disorientamento.

Qual è l’ultimo romanzo storico che ti è piaciuto particolarmente e perché?

La colonna di fuoco di Ken Follett. Ambientato a Kingsbridge, narra della vicenda del giovane Ned Willard che ritornato a casa si rende conto che il suo mondo sta mutando radicalmente. Solo la vecchia cattedrale sopravvive immutata, testimone di una città lacerata dal conflitto religioso. Tutti i principi di lealtà, amicizia e amore verranno sovvertiti. Ned vorrebbe sposare Margery Fitzgerald, figlia del sindaco cattolico della città, ma il loro amore non basta a superare le barriere degli opposti schieramenti religiosi. Costretto a lasciare Kingsbridge, Ned viene ingaggiato da Sir William Cecil, il consigliere di Elisabetta Tudor, futura regina di Inghilterra. Dopo la sua incoronazione, la giovane e determinata Elisabetta I vede tutta l’Europa cattolica rivoltarsi contro di lei, prima tra tutti Maria Stuarda, regina di Scozia. Il giovane Ned diventa così uno degli uomini chiave del primo servizio segreto britannico della storia. Per quasi mezzo secolo il suo amore per Margery sembra condannato.

Mi è piaciuto perché lascia l’insegnamento che spesso gli interessi personali e l’esercizio del potere dei tiranni prevarica l’impegno di coloro che credono invece nel confronto, nella tolleranza e nel compromesso.

C’è un altro periodo storico in cui ti piacerebbe ambientare un romanzo?

I periodi storici nei quali preferirei ambientare un futuro romanzo sono due: la Palermo cinquecentesca e quella Normanna.

Quali progetti letterari hai per il futuro?

Sicuramente proseguirò nella stesura di nuovi romanzi storici. Ho diversi progetti letterari che intendo presto sviluppare.

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