Ringraziamo Francesco Nobile che ci fa scoprire una stupenda parte di storia medievale del Sud Italia.
Chi è Francesco?
Un insegnante di materie letterarie, giornalista e scrittore, appassionato di Storia.
Ci dai qualche dettaglio in più sulla trama de La spada di Manfredi?
Il libro racconta uno spaccato del Sud Italia del Medioevo, concentrandosi sull’epoca sveva e sulla difficile transizione tra il regno di Federico II e quello di suo figlio Manfredi. Si tratta di un passaggio storico affascinante, in cui si percepisce la possibilità concreta per il Mezzogiorno d’Italia di imboccare strade differenti e suggestive, in cui si alternano vocazioni europee, mediterranee e nazionali.
Descrivi il libro con tre aggettivi.
Sedimentato, sentito, inesplorato.
Una scena del libro che ti piace particolarmente?
L’incontro tra Manfredi e il suo fratellastro Corrado. I due si videro – forse per la prima volta – presso Siponto, quando Corrado IV, erede al trono di Sicilia e imperatore del Sacro Romano Impero, venne accolto da Manfredi, luogotenente e vicario in sua assenza (il termine che definiva il suo ruolo era «Balio», e rimandava alla nutrice e alla cura per i nascituri). Nonostante l’omaggio feudale che Manfredi prontamente gli riservò, i due erano animati da reciproca diffidenza. Nonostante il forte legame di sangue, i due non si riconobbero. Troppo diversi per indole, i loro contrasti segnarono in maniera indelebile il futuro del Regno.
Presentaci Manfredi
La presentazione perfetta ce la restituisce Dante nel Purgatorio: biondo era e bello e di gentile aspetto. Un principe falconiere che, per le tortuose trame del destino, sarà chiamato a responsabilità di governo. I primi anni della sua giovinezza sono tutti improntati alla «gioia di vivere»: la poesia, il canto, la taverna e le belle donne. Il padre, però, lo affidò alle più brillanti menti dell’epoca per farlo studiare e Manfredi si formò sui grandi classici, vivendo in una corte cosmopolita e frequentando dotti arabi e ebrei. Lì maturò al punto tale da essere riconosciuto come il vero erede dello «stupor mundi».
Perché (e a chi) consiglieresti La spada di Manfredi?
Lo consiglierei a chiunque abbia interesse a scoprire un Mezzogiorno inedito, molto diverso dalla rappresentazione che siamo abituati a conoscere. A chiunque ami la Storia, il Medioevo e i nostri bellissimi borghi. Oltre a ripercorrere le vicende della corte di Manfredi, ne descrivo i luoghi, i paesaggi, le abitudini e le suggestioni. Da Melfi a Lagopesole, da Trani a Palermo il libro può appassionare chiunque coltivi il desiderio di guardarsi intorno con occhi nuovi.
Cosa ti ha spinto ad ambientare il libro in questo particolare periodo storico?
Ne ho già parlato in precedenza, si tratta di un periodo di confine. Un mondo è al tramonto e un altro sta per sorgere ma, nel passaggio, non tutto va perduto. C’è qualcosa che perdura, che riesce a scavallare i secoli, un’eredità enorme che è giunta fino a noi e che mi pare di poter rintracciare nel tempo che racconto.
Cosa non sappiamo del Regno di Sicilia medievale?
Che era un mosaico molto variopinto, unito dalla forza e dall’intelligenza politica dei Normanni. Quando «gli uomini del nord» prestarono la spada e lo scudo al soldo dei vari signori locali, il Mezzogiorno era ancora musulmano in Sicilia, greco-ortodosso in Puglia e Calabria, e cattolico nella rimanente parte. Inoltre c’erano comunità ebraiche molto fiorenti, insomma era un microcosmo che assommava in sé buona parte delle realtà mediterranee. I Normanni furono abili nel tenere tutto insieme, poi arrivarono gli Svevi ad aggiungere una nota di sangue germanico e una forte vocazione imperiale.
Raccontaci un po’ del tuo rapporto con il romanzo storico, sia come lettore che come autore.
Com’è ovvio, si tratta di uno dei miei generi preferiti. Ho sempre amato perdermi tra le pagine di un romanzo che riuscisse a restituire un’epoca lontana, in cui vagare con l’immaginazione. Dal punto di vista autoriale, ovviamente si tratta di una bella sfida. Innanzitutto perché bisogna mettere delle briglie alla fantasia: non si può inventare tutto da zero, bisogna documentarsi, conoscere i propri personaggi, il contesto in cui si muovevano, il modo di ragionare proprio dell’epoca. Solo a questo punto, si può cominciare davvero a scrivere.
Quali sono le difficoltà nello scrivere un romanzo storico?
Bisogna conoscere a fondo la materia che si sta per narrare. Questo vale in assoluto per ogni romanzo (anche per il fantasy o la fantascienza, in cui, a torto, potrebbe sembrare di aver maggiori libertà) ma per il romanzo storico la cura del dettaglio è essenziale. Chi legge questa tipologia di romanzo spesso è addentro alle sue dinamiche: magari è già un appassionato, un conoscitore dell’epoca, un frequentatore dei personaggi e dei luoghi narrati. Quindi, è facile che un errore salti all’occhio, sia che si tratti di un’incongruenza, una datazione sbagliata o altro.
Puoi dare qualche consiglio a chi vorrebbe cimentarsi in questo genere letterario?
Studiare, leggere molto e scrivere altrettanto. Non vedo altre strade, questa è la base. Poi, inserire qualche elemento di novità nella storia che si sta raccontando: non aver paura di usare la fantasia. La differenza tra un manuale e un romanzo è tutta lì.
Qual è l’ultimo romanzo storico che ti è piaciuto particolarmente e perché?
Teutoburgo di Valerio Massimo Manfredi. Bella l’ambientazione, i personaggi, e imponente la ricostruzione storica.
C’è un altro periodo storico in cui ti piacerebbe ambientare un romanzo?
Mi piacerebbe molto rimanere nel sud Italia. Il nostro patrimonio millenario è un serbatoio inesauribile di storie da raccontare, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Quali progetti letterari hai per il futuro?
Sono a metà di un altro romanzo, di tutt’altro tenore e genere. Mi piace sperimentare e seguire nuove strade: per me la scrittura è anche uno strumento con cui si può giungere a una maggiore consapevolezza di se stessi, quindi perché non fare qualcosa di nuovo?